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L’esperienza di Lucia C.: «Tra le mie amiche la metà ha dovuto rivolgersi a dei centri, ma lo hanno confessato quando sono stata io la prima a parlarne. Non si dice abbastanza che oggi abbiamo un problema di nascite anche perché siamo meno fertili»
Una recente newsletter sulle cause profonde del declino delle nascite in Italia ha generato un gran numero di risposte dei lettori. Molte sottolineano l’importanza di avere in Italia cliniche per la fecondazione assistita efficienti e abbordabili per tutti, dato che sempre più spesso le coppie maturano la scelta di avere un figlio in età relativamente avanzata. E senz’altro nel Paese si trovano centri di procreazione medicalmente assistita (Pma) di qualità, anche nel Sistema sanitario nazionale pubblico. Ma non mancano le esperienze negative e le difficoltà, come emerge da questa intervista di Lucia C., una lettrice che ha scelto di non pubblicare il proprio cognome.
Lei si è rivolta a centri di procreazione assistita?
«Sì. Sono madre di due bellissime figlie gemelle di 16 anni compiuti pochi giorni fa, tanto e a lungo desiderate, quando io avevo già 33 anni. Per almeno un quinquennio io e mio marito abbiamo provato a concepire un bimbo naturalmente, purtroppo senza riuscire».
Quindi come siete arrivati alla vostra scelta?
«L’età avanzava e da una serie di esami abbiamo scoperto che mio marito aveva problemi di fecondità; io stessa risultavo avere dei problemi alle tube.
Abbiamo quindi dovuto ricorrere alla fecondazione assistita e abbiamo intrapreso questo lungo e tortuoso percorso nel quale abbiamo conosciuto tantissime coppie che, come noi, non riuscivano ad avere un bimbo. Ci siamo così rivolti a centri di procreazione medicalmente assistita in Italia con tempi di attesa lunghissimi ed estenuanti per poter svolgere tutti gli esami propedeutici alle prime visite… quando arrivavamo a fare gli ultimi i primi erano già vecchi e dovevamo ricominciare daccapo; mi sono rivolta a dei professionisti a pagamento recandomi negli studi della mia provincia – Brescia – più famosi e noti in questo settore».
È stata un’esperienza positiva?
Il primo dei professori dal quale mi recai, dopo aver accertato che una tuba fosse chiusa e l’altra pervia – a suo parare – mi propose, come primo passo, un tentativo di inseminazione intrauterina. Pensai di capirne poco e gli domandai come avrebbe potuto funzionare un tentativo del genere con le tube chiuse: mi rispose che il suo modo di lavorare andava per gradi, partendo dai metodi più naturali per questioni di etica».
Etica medica?
«È quel che gli domandai. Mi rispose che no, etica morale e religiosa».
Non trova legittimo che alcuni medici abbiano riserve di coscienza alla procreazione medicalmente assistita?
«È legale. Ma credo sia opinabile che queste obiezioni vengono portate avanti in maniera surrettizia e non aperta. Alcune donne che ho conosciuto, non poche, sono state fortemente osteggiate anche dal proprio medico curante di base nella prescrizione di esami propedeutici a questo percorso, che essi stessi reputavano immorale e contro natura».
Come si mosse dopo questa prima esperienza?
«Mi rivolsi quindi ad un altro professore, il più noto (e caro) della città. Nel suo studio lavorano due luminari di questo settore; mi è stata fatta un’ecografia dalla quale emergeva – secondo loro – una sella uterina assolutamente da operare poiché, sempre a dir loro, avrebbe potuto interferire con l’attecchimento dell’embrione in caso di fecondazione assistita. Ora, per l’appunto questi professori mi dissero che fortunatamente lavoravano in una clinica, dove quindi mi programmarono l’intervento in breve tempo senza spese aggiuntive per noi, poiché la struttura era convenzionata».
Che accadde allora?
«Mi venne il ciclo e l’intervento dovette essere spostato….Ma in quei giorni di pausa decisi di rivolgermi ad un centro in Svizzera. E lì finalmente venni accolta con cura e pazienza; nel giro di pochi giorni feci tutti gli esami e le visite del caso presso la clinica di Lugano; nell’arco di tre mesi feci la mia prima fecondazione in vitro, che andò bene al primo colpo: due embrioni impiantati ed entrambi attecchiti, altri dieci crioconservati. Quando i medici svizzeri mi visitarono e mi mostrai preoccupata per la sella uterina, si consultarono tra loro e mi dissero, stupiti, che non ne avevano riscontrato alcuna traccia».
Che lezioni trae dalla sua esperienza?
«In questo percorso abbiamo conosciuto tantissime coppie in situazioni simili alla nostra. E tanti amici, intimi e di vecchia data, ci hanno confessato di avere lo stesso nostro problema solo quando siamo stati noi i primi a parlarne. Tra le mie amiche circa la metà ha dovuto rivolgersi a dei centri di procreazione medicalmente assistita per avere un figlio e di queste solo poche sono riuscite a coronare il loro sogno. Non si dice abbastanza spesso che oggi abbiamo un problema di nascite anche perché non si riesce ad avere figli. Non siamo più fertili, non siamo più fecondi come vorremmo. Né si dice abbastanza spesso che le numerose coppie che non riescono ad avere figli sono troppo spesso fortemente osteggiate».
Osteggiate in che senso?
«Osteggiate in primo luogo sui costi: con il Sistema sanitario nazionale in Italia purtroppo i tempi sono lunghissimi e spesso molti esami, visite, analisi si devono comunque fare a pagamento con costi altissimi; per assurdo, a conti fatti, il percorso costa meno se fatto all’estero. Osteggiate anche da tanti medici: per i motivi che ho detto ci si rivolge spesso e per forza a centri privati e molti medici purtroppo lucrano sul percorso da fare, sulle coppie e anche sul sistema sanitario nazionale, perché operano in centri convenzionati. Talvolta spingono ad eseguire interventi inutili, danno la precedenza a chi si rivolge a loro privatamente e allungano i tempi di attesa a chi vuole accedere con il sistema pubblico».
Vede altri problemi per l’accesso ai centri di fertilità?
«Sicuramente l’impronta religiosa di tanti medici – per quanto del tutto coerente con il loro punto di vista – fa sì che, come nel caso dell’aborto, essi reputino immorale il concepimento in vitro. Le coppie sono osteggiate per la solitudine in balìa della quale vengono lasciate ad affrontare un percorso difficile e veramente pesante. Non riuscire ad avere figli, per chi li vuole, riempie di senso di colpa, impotenza, sconfitta, inadeguatezza. Riempie di depressione. Peraltro tante donne preferiscono confidarsi e parlare con il sacerdote del paese o del quartiere piuttosto che con degli psicologi e può succedere che questi parroci colpevolizzino chi cerca la gravidanza affidandosi alla medicina ed alla scienza. Molte delle mie amiche si sono sentite offrire messaggi del tipo ‘se Dio non ha voluto che tu fossi madre ci sarà un perché, avrà per te altri progetti».
Pensa che ci sia un ritardo nell’emancipazione femminile in Italia, da questo punto di vista?
«Temo di sì. La donna non è libera di gestire la propria gravidanza, non solo quando la vuole interrompere ma anche quando la cerca. Ci sono degli enormi problemi di infertilità nel nostro Paese, eppure questo dato non emerge con la dovuta chiarezza. Non mi interrogo su quali possano essere la cause: forse sono proprio quelle che generano la paura per cui su questo argomento vige il silenzio più assoluto. Ma è importante che emerga la consistenza del problema».
20 ottobre 2024 ( modifica il 20 ottobre 2024 | 12:11)
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I social del Podcast Lo Sperone, che ha pubblicato l'intervista, travolti da decine di commenti indignati
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